Land of Losts Souls


Cha no yuLa Cerimonia del Tè

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    « Il cuore della Cerimonia del tè consiste nel preparare una deliziosa tazza di tè; disporre il carbone in modo che riscaldi l'acqua; sistemare i fiori come fossero nel giardino; in estate, proporre il freddo; in inverno, il caldo; fare tutto prima del tempo; preparare per la pioggia e dare a coloro con cui ti trovi ogni considerazione »


    (Sen no Rikyū)

    Il Cha no yu (茶の湯, "acqua calda per il tè"), conosciuto in Occidente anche come Cerimonia del tè, è un rito sociale e spirituale praticato in Giappone, indicato anche come Chadō o Sadō, (茶道, "Via del tè").
    È una delle arti tradizionali zen più note. Codificata in maniera definitiva alla fine del XVI secolo dal monaco buddhista zen Sen no Rikyū (千利休, 1522-1591), maestro del tè di Oda Nobunaga (織田信長, 1534-1582) e successivamente di Toyotomi Hideyoshi (豊臣秀吉, 1536-1598). Il Cha no yu di Sen no Rikyū riprende la tradizione fondata dai monaci zen Murata Jukō (村田珠光, 1423-1502) e Takeno Jōō (武野紹鴎, 1502-1555). La Cerimonia si basa sulla concezione del wabi-cha (侘茶). Questa cerimonia e pratica spirituale può essere svolta secondo stili diversi ed in forme diverse. A seconda delle stagioni cambia la collocazione del bollitore (釜 kama): in autunno e inverno è posto in una buca di forma quadrata (爐, ro, fornace), ricavata in uno dei tatami (畳) che formano il pavimento. In primavera ed estate in un braciere (furo, 風爐) appoggiato sul tatami. La forma più complessa e lunga (茶事, chaji) consiste in un pasto in stile kaiseki (懐石), nel servizio di tè denso (濃茶, koicha) e in quello di tè leggero (薄茶, usucha)[1]. In tutti i casi si usa, in varie quantità, il matcha (抹茶), tè verde polverizzato, che viene mescolato all'acqua calda con l'apposito frullino di bambù (茶筅, chasen). Quindi la bevanda che ne risulta non è un'infusione ma una sospensione: la polvere di tè viene cioè consumata insieme all'acqua. Per questo motivo e per il fatto che il matcha viene prodotto utilizzando germogli terminali della pianta, la bevanda ha un effetto notevolmente eccitante. Infatti veniva e viene ancora utilizzata dai monaci zen per rimanere svegli durante le pratiche meditative (zazen, 坐禅). Il tè leggero usucha, a seguito dello sbattimento dell'acqua col frullino durante la preparazione, si ricopre di una sottile schiuma di una tonalità particolarmente piacevole e che si intona con i colori della tazza.

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    La cerimonia del tè è qualcosa che va molto al di là della semplice preparazione di una bevanda. È forse l'espressione più pura dell'estetica zen, tanto che un adagio giapponese dice: cha zen ichimi (茶禅一味 cioè "tè e zen un unico sapore)". Entrando nella stanza da una porticina bassa (nijiriguchi, 躙口) che costringe a piegarsi in segno di umiltà, l'ospite entra in uno spazio piccolo, a volte minimo, dove equilibrio e distacco dal mondo sono procurati da gesti che richiamano costantemente la presenza mentale in un ambito di naturalezza e spontaneità, in una sequenza di interazioni codificate e circondata da oggetti semplici ma di grande forza espressiva. La stanza, detta chashitsu (茶室), può essere anche di pochi tatami, le finestre sono schermate e la luce filtra sommessa conferendo un alone di particolare fascino ad ogni elemento. Da un lato c'è il tokonoma, una piccola nicchia in cui è appeso uno scritto eseguito da un calligrafo esperto di shodō, ed una piccola composizione simile all'ikebana (生花) particolarmente adattata alla circostanza e con grande coerenza con la stagione in corso, detta chabana (茶花) cioè fiori per il tè. Il Tokonoma ha da un lato un pilastro, detto toko-bashira (床柱), formato da un palo di legno appena sgrossato a cui di solito è appeso il chabana costituito da un piccolo vaso e spesso un unico fiore, in modo che tutta l'attenzione sia attratta dalla sua bellezza.
    Il particolare significato che viene attribuito al Cha no yu si percepisce anche dal fatto che per indicare l'atto del preparare il tè si usa il verbo tateru che solitamente ha il significato di "celebrare" e non il più normale suru (為る) cioè fare, eseguire. Dopo che gli invitati si sono accomodati, in ordine rigorosamente precostituito, con la persona più importante (shōkyaku, 正客)[8] o particolarmente prediletta posta al primo posto, si apre la porta scorrevole (shōji 障子) e appare il teishu (亭主, chi prepara il tè) inginocchiato in posizione seiza (正座) cioè con le punte dei piedi rivolte verso l'esterno.

    Ogni commensale (cominciando da quello principale) viene invitato a consumare il dolce con la formula rituale:
    «okashi o dōzo» (it. servitevi del dolce, prego).
    Successivamente gli viene posta dinanzi la chawan. Il primo invitato si scusa col vicino e gli chiede il permesso di servirsi per primo:
    «osakini»,
    prende la tazza la fa ruotare per esporre lo shōmen (正面, cioè la parte di finitura che fa da riferimento) in direzione del teishu dopodiché beve con brevi sorsi esprimendo il suo gradimento. Poi pulisce il bordo della tazza e la posa dinanzi a sé. La tazza viene ripresa dal teishu e lavata. La cerimonia procede con gli altri ospiti, finché al termine, quando tutti hanno bevuto il tè, il primo ospite (shōkyaku) pronuncia la frase di rito:
    «onatsume to ochashaku no haiken o»
    cioè chiede il permesso di esaminare gli utensili: il contenitore del tè (natsume) e il cucchiaino di bambù (chashaku). Il permesso viene accordato e a turno gli ospiti prendono gli utensili e li osservano attentamente. Per ultima viene osservata la tazza, rigirandola tra le mani e chiedendo informazioni sul maestro che l'ha creata, l'epoca e lo stile. All'ospite poi può venir richiesto se intenda dare un nome poetico (mei) al chashaku e lui a questo punto può citare una poesia o un verso o semplicemente fare un riferimento alla stagione in corso. Molto indicati sono i kigo (季語) cioè i riferimenti stagionali contenuti nell'ultimo verso di un haiku, quindi frasi come aki no kure (sera d'autunno) oppure momono hana (fiori di pesco) e così via. La cerimonia si conclude col teishu che ritorna alla posizione iniziale, si inchina profondamente all'unisono con gli ospiti e richiude la porta scorrevole. Quella descritta è la cerimonia più semplice cioè il servizio di usucha (tè leggero) ma ve ne sono di assai più lunghe e complesse come quella del servizio di koicha (tè denso) che richiede anche utensili diversi (chaire, kobukusa ecc. ). Le varie procedure di preparazione e svolgimento sono dette temae (手前 secondo la scuola Urasenke; 点前 secondo la scuola Omotesenke).

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    La stanza del tè è il luogo fisico dove si svolge la cerimonia ma è anche luogo "spirituale". In essa sono stati trasfusi gli ideali dell'estetica zen. Ai concetti precedenti di yūgen (幽玄) e di sabi (寂), Sen no Rikyū evidenziò quello di wabi (侘). Se lo yūgen era l'incanto sottile, collegato al mistero e alla eleganza, impossibile da trasmettere con le parole, caro agli autori del Nō (soprattutto Zeami, 世阿弥 1363-1443) e il sabi la patina sottile del tempo che rende gli oggetti affascinanti e ispiratori di tranquillità e armonia, il wabi di Sen no Rikyūintrodusse qualcosa di eversivo: la povertà ricercata, il rifiuto assoluto dell'ostentazione. Sen no Rikyū amava lo stile semplice, cioè vedeva la stanza del tè come dimora della creatività priva di attaccamenti quindi una dimora del vuoto. Spogliata da ogni possibile orpello, con pareti grezze e praticamente priva di alcun contenuto che non fosse il vissuto libero dagli attaccamenti della vita "mondana". I personaggi che si muovono in essa sono usciti temporaneamente dal mondo e dai suoi affanni per contemplare brevemente il vuoto. Il vissuto di mu-shin (無心), cioè "non-mente", quindi l'abbandonare il pensiero ruminante e giudicante per giungere ad un approccio spontaneo e totalizzante con gli oggetti e le persone, è rappresentato perfettamente dallo spazio racchiuso nella stanza del tè. Al vuoto materiale deve corrispondere il vuoto "mentale", inteso come vissuto di consapevolezza privo di preoccupazioni e attaccamenti mondani. Fin dall'inizio della sua istituzione, nella stanza della Cerimonia del tè tutti dovevano entrare disarmati e tutti erano uguali, tutti si dovevano inginocchiare e tutti dovevano "subire" le stesse regole. È chiaro quale fosse il potere destabilizzante di questa pratica e così Sen no Rikyū fu costretto al seppuku in quanto un potere che viveva, come sempre, di ostentazione e di forme vane, si sentiva minacciato dalla forza silenziosa del maestro.

    Il monaco buddhista zen Sen no Rikyū è universalmente considerato il codificatore ultimo della Cerimonia del tè, dopo i grandi maestri Murata Shukō e Takeno Jōō. La Cerimonia del tè di Sen no Rikyū si fonda su quattro principi basilari a cui fanno riferimento tutti i lignaggi scolastici che proseguono gli insegnamenti di questo maestro del tè:
    • Armonia (和, Wa)
      Questa dimensione comprende la relazione ospite-invitato, gli oggetti scelti, il cibo servito. Queste relazioni devono riflettere il ritmo impermanente delle cose e della vita. L'effimero compreso in tutte le cose viene confermato infatti dal loro mutamento costante. Ma essendo l'effimero, l'impermanente, l'unica realtà in cui ci muoviamo esso assurge a Realtà ultima. Ospite e invitato sono in realtà intercambiabili in quanto agiscono coerentemente in questa dimensione di consapevolezza. Prima di offrire il tè, l'ospite porge dei dolci all'invitato, a volte un pasto leggero. Tutto deve essere all'insegna della stagione in corso, al ritmo naturale della cose. Il principio dell' "Armonia" significa dunque essere affrancati da ogni pretesa e da ogni estremismo, incamminati lungo la moderazione e la "Via di mezzo" propria degli antichi insegnamenti buddhisti.

    • Rispetto (敬, Kei)
      È il riconoscimento in ogni persona, ma anche nei più semplici oggetti, della presenza di una innata dignità. Coltivare questo vissuto nella Cerimonia del tè e nella vita permette di comprendere la comunione dell'essenza di tutto ciò che ci circonda.

    • Purezza (清, Sei)
      Va immediatamente precisato che in ambito zen, questo non significa discriminare tra ciò che è "puro" e quello che è ritenuto "impuro", essendo il "puro" e l'"impuro" partecipanti insieme alla Realtà ultima. Spazzare la stanza del tè significa occuparsi di disporre un mondo che accolga anche il "bello". Che consenta a ciò che è "bello" di esprimersi. Questa occupazione è anche una metafora nei confronti della nostra mente e dei nostri vissuti che vanno quotidianamente "spazzati" dai vincoli mondani e dalle loro preoccupazioni, per consentirsi esperienze altrimenti non esperibili. Mentre pulisce la stanza del tè, l'ospite riordina anche se stesso.

    • Tranquillità (寂, Jaku)
      Sōshistsu Sen (千宗室), XV iemoto (家元) del lignaggio Urasenke (裏千家), così esprime questo principio: «Seduto lontano dal mondo, all'unisono con i ritmi della natura, liberato dai vincoli del mondo materiale e dalle comodità corporali, purificato e sensibile all'essenza sacra di tutto ciò che lo circonda, colui che prepara e beve il tè in contemplazione si avvicina ad uno stadio di sublime serenità.» L'incontro con l'altro nella Cerimonia del tè amplifica questa dimensione e, come ricorda sempre il XV iemoto dell'Urasenke: «Trovare una serenità duratura in noi stessi in compagnia d'altri: questo è il paradosso.>>

    Fonte: wikipedia
     
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